mercoledì 19 dicembre 2012

USO SOSTENIBILE DEI PESTICIDI????

 
Vi invitiamo a una iniziativa sul Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi.
SI tratta di una conferenza promossa da un ampio cartello di organizzazioni che esprimono distinti interessi in materia e che nutrono preoccupazioni e riserve sul processo di recepimento della Direttiva Europea in materia.
Il convegno vuole rendere pubbliche le riserve, avanzare proposte e dare il segno di una volontà di continuare a presidiare la questione.
 
 
 

mercoledì 12 dicembre 2012

DOHA : PORTA DI ENTRATA PER UN FUTURO INFERNALE




                                                                                     di Francesco Martone (*), Alberto Zoratti (**)

Alla fine ce l'hanno fatta. Dopo una serie di colpi di scena è stato approvato a colpi d'ariete della presidenza qatariota e sul filo del rasoio (nonostante la resistenza in zona Cesarini della Russia) il “Doha Climate Gateway”. Una porta di entrata per il futuro con l'estensione del protocollo di Kyoto, il riconoscimento del risarcimento per danni causati dai cambiamenti climatici e l'impegno dei paesi industrializzati di stanziare per lo meno una somma pari alla media di quanto sborsato in aiuti climatici negli ultimi 3 anni. Una proposta di minima visto che troppi erano i gap da colmare. E' uno dei tanti paradossi di questa Conferenza delle Parti sui mutamenti climatici che è conclusa sul filo del precipizio a Doha, città simbolo di opulenza, immenso cantiere a cielo aperto, sede un incontro che all'inizio si annunciava come un appuntamento di transizione. Così non è stato. Le ultime fasi del negoziato del livello “ministeriale” si sono protratte ben oltre i tempi previsti, tra mancanza di volontà politica di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, (Stati Uniti in particolare) e richieste insoddisfatte di un aumento dei fondi per sostenere i paesi in via di sviluppo o rapida industrializzazione verso un'economia a basso contenuto di carbonio, – la Cina nello specifico, ma non solo. Ed un ultimo colpo basso della Polonia con dietro le spalle Russia ed Ucraina intenzionate a proteggere il loro diritto di vendere alte quote di permessi di emissione fino al 2020, anche se ciò avrebbe portato al fallimento totale della Conferenza. Così nella “land of plenty” del Qatar, l' occasione per l'Emiro Hamad bin Khalifa al Thani di proporsi al mondo come paladino dell'ambiente rischiava di sfumare per una questione di quattrini, e per manifesta incapacità dei suoi diplomatici. Se non fosse bastata la condanna all'ergastolo per Mohammed al-Ajami, un poeta giudicato colpevole di "sovversione del sistema di governo" e "offesa all'emiro" per una sua poesia dedicata alla “Tunisia dei gelsomini”. Anche qui a Doha si riverberano gli effetti della “crisi” finanziaria in Europa, che a Durban aveva messo assieme paesi poveri ed insulari salvando il negoziato , e che poco dopo, vista l'incapacità di tener fede alle promesse di aiuti finanziari, ha visto indebolirsi il suo potere di trattativa. La morsa del Fiscal Compact, e delle politiche di austerità sostenute dalla BuBa e dalla Cancelliera Angela Merkel stanno così avendo un effetto devastante anche sul profilo internazionale dell'Unione già compromesso dalla posizione oltranzista di Varsavia. A Doha c'era da concludere il Piano di Azione di Bali su temi quali adattamento, mitigazione, foreste, trasferimenti di tecnologie, finanziamenti, strumenti di attuazione, il prossimo regime di riduzione delle emissioni globali. Si è faticato fino all'ultimo secondo per poter passare la palla al gruppo di lavoro creato a Durban che dovrà trattare un accordo globale vincolante per tutti entro il 2015, per entrare in vigore nel 2020. Fumo negli occhi di Todd Stern, negoziatore di Washington. Un passo in avanti però c'è stato, si riconosce per la prima volta il diritto dei paesi insulari al risarcimento per le “perdite e danni”” per i danni subiti a causa dei cambiamenti climatici. Fino all'ultimo è rimasta aperta la questione finanziaria, ovvero come reperire quel che resta dei 30 miliardi di dollari promessi a Copenhagen per il 2010-2012, e arrivare ai 100 miliardi l'anno entro il 2020. A poco è servito che l'Inghilterra annunciasse lo stanziamento di 2,2 miliardi di dollari, seguito a ruota da altri paesi europei, (Germania, Francia, Olanda, Svezia, Svizzera e UE) per un totale di 6,85 miliardi di dollari per i prossimi due anni, un' aumento rispetto al biennio 2011-2012. Inoltre i paesi donatori chiedevano di verificare come quei soldi verranno spesi nei paesi in via di sviluppo, questi ultimi chiedono invece che si faccia un verifica degli impegni di spesa dei primi. L'onda lunga di questo gioco al rimpiattino si è fatta sentire anche nel negoziato sulle foreste, che ha prodotto un risultato inferiore alle aspettative. Se ciò non bastasse. nonostante le decine di morti causate nelle Filippine dal tifone Bopha, i governi non sono riusciti ad accordarsi su come colmare quel differenziale di 6-15 gigaton di emissioni che marcano l’inadeguatezza degli attuali impegni di riduzione. O il cosiddetto “ambition deficit”, ossia il differenziale tra la percentuale attuale delle riduzioni di emissioni: 11-16% attuali rispetto a quelle necessarie entro il 2020, ovvero il 25-40% sui livelli di emissione del 1990. Temi che riemergeranno con virulenza nei prossimi anni. La COP18 riesce nonostante tutto a rimettere faticosamente in carreggiata il Protocollo di Kyoto confermando il "Second commitment period" cioè il secondo periodo di impegni di taglio delle emissioni di gas climalteranti che i Paesi industrializzati avrebbero dovuto assumersi dopo il 2012. Un obiettivo di basso profilo, visti i molti tentativi di far deragliare l'unico Protocollo realmente vincolante assieme a quello di Montreal. Dal 1 gennaio 2013 inizierà Kyoto 2, ma vedrà li paesi parecipanti, quali Unione Europea, la Svizzera, l'Australia e la Norvegia rappresentano solo il 15% delle emissioni globali. La loro adesione a Kyoto, gli avrebbe permesso di consolidare il mercato del carbonio (come il sistema ETS europeo o quello australiano, che nei prossimi anni andranno a convergere) , uno dei meccanismi flessibili di Kyoto particolarmente voluto dai Paesi industrializzati, perchè permette una mitigazione a basso costo.Ed invece uno dietro l'altro i paesi aderenti hanno annunciato  inaspettatamente di voler rinunciare all'acquisto di crediti di emissione fino al 2020 quando terminerà Kyoto 2.   Il rimanente 85% delle emissioni, provenienti da Stati Uniti (con 17 tonnellate e passa procapite all'anno di CO2) e Cina (con poco più di 7 tonnellate procapite allo stesso livello dell'UE) verranno gestite all'interno del percorso negoziale nato a Durban un anno fa, verso un regime non vincolante ma di "pledge and review", impegni volontari da verificare collettivamente. Kyoto 2, sebbene rimanga in piedi legalmente, dovrà essere riempito di significato, di numeri e di percentuali. La rigidità di Stati Uniti, che non hanno mai ratificato Kyoto, del Giappone o del Canada, che dal Protocollo è uscito un anno fa a causa degli interessi economici ingenti legati alle sabbie bituminose in Alberta ed al loro sfruttamento, è stato uno degli elementi di blocco di un negoziato che, secondo le regole mutualmente decise nel corso degli anni, sarebbe dovuto arrivare naturalmente ad adottare un regime vincolante. D'altra parte la Cina, che nasconde dietro al gruppo del G77 i suoi interessi di potenza mondiale ormai emersa, non accetta alcun vincolo multilaterale che metta in discussione il suo sviluppo impetuoso ancora fondato sullo sfruttamento del carbone e del nucleare. Kyoto è necessario, ma non è assolutamente sufficiente. Non lo era prima, tanto meno lo sarà oggi. Il picco di emissioni di C02, dice il Panel di scienziati dell'IPCC, dovrà essere raggiunto nel 2015 per poi decrescere. Questo poter sperare di far rimanere la concentrazione di C02 sotto i 450 ppm e l'aumento della temperatura media globale sotto i 2°C, che però può significare +4°C - +6°C in altre parti del mondo, basti pensare all'Africa subsahariana che rischia di perdere in pochi anni buona parte dei suoi raccolti agricoli (con buona pace della sovranità alimentare) e alla Groenlandia, che ha visto scomparire quasi del tutto la sua calotta glaciale durante l'ultima estate boreale. Cosa che, ironia della sorte renderebbe assai meno costoso lo sfruttamento delle proprie risorse petrolifere. La prossima Conferenza delle Parti che si terrà a Varsavia lascia poche speranze, vista l'ostinazione con la quale la Polonia ha cercato di affossare il protocollo di Kyoto e con esso tutto il negoziato. In molti stanno già guardando alla COP20 che si terrà a Parigi, quando - si spera - l'Europa avrà un'altra guida ed altre ambizioni.

(*) Sinistra Ecologia Libertà (**) Fairwatch

mercoledì 5 dicembre 2012

eccoti il link dei 150 motivi per dire no tav.


Clicca qui  e puoi leggere 150 motivi per dire anche tu NO TAV. 

Il clima. In nome di Dio

Si è aperto il 4 Dicembre l'high-level segment della Conferenza Onu di Doha a cui parteciperanno, nei prossimi giorni, i Primi ministri ed i Presidenti di mezzo mondo. Il rischio di una soluzione di basso profilo, che soddisfi tutti i palati, c'è tutto, nonostante la determinazione della Commissaria UE al clima, Connie Hedegaard, che dichiara anche nuovi impegni sul piano finanziario. Ma c'è chi, tra le ong internazionali, chiede maggiori certezze e trasparenza sul fondo.   Per maggiori informazioni clicca qui.

venerdì 30 novembre 2012

Rio+20, summit sul clima ma poco ambizioso


 A SUD  informa 
Qui si seguito  il link all'Editoriale di Giuseppe De Marzo su L'Unità di ieri, 14 giugno 2012, che apre la corrispondenza da Rio+20.

Da domani e per tutta la durata del Vertice, seguite le giornate di lavori sulle pagine de L'Unità e de Il Manifesto

Per leggere l articolo cliccare qui.

mercoledì 28 novembre 2012

STOP AL CARBONE!DA SALINE JONICHE FINO A DOHA



Presentato oggi da Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF Italia il ricorso contro la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, autorizzata dalla presidenza del Consiglio dei Ministri

In Italia si fermino le lobby del carbone, a partire da Saline Joniche fino Porto Tolle e Vado Ligure, e si elimini la quota del 13% di carbone dalla Strategia Energetica Nazionale


“Lo stop al carbone in Italia cominci da Saline Joniche
insieme con l’assunzione di una seria politica ‘taglia-emissioni’ in grado di rispondere all’emergenza climatica, al centro del dibattito della COP18, il vertice internazionale sul Clima in corso a Doha, in Qatar, fino al 7 dicembre”. È questo il messaggio che Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF hanno lanciato oggi durante la conferenza stampa di presentazione del ricorso che si oppone alla decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPCM) di autorizzare la costruzione di una nuova centrale a carbone presso Saline Joniche (RC) da parte del consorzio S.E.I., capeggiato dalla società svizzera Repower. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche Slow Food Italia e un portavoce della rete grigionese contro il carbone.

“Fermare la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, in Calabria – dichiarano le associazioni ambientaliste in una nota congiunta - è un primo passo, fondamentale per bloccare l’avanzata lungo tutto lo stivale delle lobby del carbone e di una politica energetica vecchia, inutile e dannosa per il clima e la salute ma che tuttora persiste, con una quota di circa il 13% , nella Strategia Energetica Nazionale in fase di pubblica consultazione”.

 

IL RICORSO. L’autorizzazione alla costruzione di questa centrale è stata concessa dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) calpestando, con una evidente forzatura, la volontà istituzionale e sociale dei territori interessati, e a dispetto di svariate controindicazioni. Prima tra queste l’aver bypassato il Piano Energetico della Regione Calabria (che a sua volta ha presentato un ricorso motivato) che vieta espressamente la costruzione  di centrali a carbone sul proprio territorio e punta decisamente sul mix fatto di rinnovabili ed efficienza energetica. E' questa la scelta ritenuta a giusta ragione in grado di preservare e valorizzare anche le potenzialità e le eccellenze ambientali, naturalistiche e culturali dell’area interessata, dalla  valenza turistica alle fiorenti piantagioni di bergamotto, testimonial di biodiversità e risorsa economica,  apprezzato in tutto il mondo. In questo senso, l’autorizzazione accordata dal DPCM suona come un’arrogante e coloniale  ingerenza nei confronti di una regione che con coerenza e lungimiranza, prima di altre e prima del Governo nazionale, vede nella sostenibilità e nell’economia a basse emissioni di CO2 un motore per il proprio sviluppo a medio-lungo termine, e vanifica anche i progetti concreti che si stanno indirizzando in questa  nuova direzione.

La stessa Repower ha recentemente ammesso che non costruirebbe mai una centrale come quella di Saline Joniche in Svizzera. Dovrebbero però spiegare perché la stessa centrale, che a pieno regime emetterebbe ben 7,5 milioni di tonnellate di CO2 l’anno (per non parlare delle altre sostanze pericolose per la salute umana), dovrebbe essere tollerata dai calabresi. . E' una domanda che anche nel Canton dei Grigioni, pongono movimenti, partiti e associazioni che condannano nettamente l’investimento di Repower in Calabria e chiedono, anche attraverso un referendum e la proposta di un “premio-vergogna”, di rivedere tale decisione. Tra l’altro il progetto fa riferimento ad una tecnologia, quella della cattura e confinamento geologico della CO2, allo stato attuale e nel futuro più prossimo, impraticabile, in quanto ancora in via di sperimentazione, non matura e  insostenibile economicamente, comunque non applicabile in zone sismiche come Saline Ioniche.

Va anche considerato che, se costruita, la centrale a carbone di Saline Joniche stravolgerebbe l’ecosistema marino e terrestre dell’Area Grecanica e della Costa Viola, minaccerebbe ben 18 aree vincolate (secondo il Ministero dei Beni Culturali), di cui ben 5 Siti di Importanza Comunitaria, in pieno contrasto con la direttiva europea Habitat. Basterebbe considerare il trasporto dell’elettricità prodotta attraverso un elettrodotto ritenuto fortemente impattante sul paesaggio reggino dallo stesso Ministero dei Beni Culturali.

Non ultimo, minaccerebbe gravemente la salute delle popolazioni locali: una stima dei danni basata sulla metodologia della European Environmental Agency (EEA) mostra come la centrale a pieno regime causerebbe in un anno 44 morti premature, 101 milioni di € di costi sanitari, 500.000 € di danni all’agricoltura a ben 250 milioni di € causati dalle ingenti emissioni di CO2.

Infine, come se questo non bastasse, ci si chiede a cosa serva la costruzione di una nuova centrale, visto che a fronte di una richiesta energetica storica massima di 56.822 MW (avvenuta nel 2007), l’Italia già dispone di una potenza installata che supera i 118.443 MW, una sovraccapacità produttiva che costringe gli impianti a funzionare a scartamento ridotto con gravi conseguenze economiche per il Paese e per le stesse bollate dei cittadini. Un dato è certo: la centrale non serve certo ai calabresi, né tantomeno per assicurare la sicurezza energetica del nostro Paese; garantisce solo forti utili all’azienda e solo maggiori costi  per la collettività.

IL CARBONE IN ITALIA. Ci si chiede, in questi giorni in cui è in fase di pubblica consultazione la Strategia Energetica Nazionale (SEN), quale sia il modello di sviluppo energetico che l’Italia vuole perseguire. Quello vecchio, pericoloso e senza futuro del carbone o quello lungimirante e sostenibile fatto di un mix equilibrato di rinnovabili, efficienza e risparmio energetico? Stando ai fatti, sembrerebbe il primo; oggi in Italia il 12,9% dell’energia elettrica è prodotto da carbone, che causa però oltre il 30% delle emissioni totali di CO2. Queste percentuali potrebbero aumentare se tutti i progetti in fase di autorizzazione andranno a buon fine. Saline Joniche è solo una parte del “fronte del carbone”. Altri punti caldi sono Porto Tolle (progetto di riconversione da olio combustibile in pieno Parco Delta del Po), Vado Ligure (progetto di ampliamento della centrale a carbone esistente, a dispetto di evidenze di pesante inquinamento dell’ecosistema locale con impatti sanitari devastanti), Sulcis (è recente la notizia dell’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia per aiuti di stato a Carbosulcis, a testimonianza dell’insostenibilità anche economica dell’impresa).

Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF chiedono espressamente che dalla SEN venga eliminata la quota di carbone prevista e dirottata in favore di fonti di energia pulita e più efficienti.

 

OLTRE L’ITALIA: L’EMERGENZA CLIMATICA SUL TAVOLO DI DOHA. L’emergenza climatica, che abbiamo visto di recente in azione sia in Italia con la nuova ondata di alluvioni che nel resto del mondo con eventi disastrosi come l’uragano Sandy, è in questi giorni al centro della COP 18, la Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici, iniziata ieri a Doha e in corso fino al prossimo 7 dicembre. E’ pertanto fondamentale per l’interesse stesso della sopravvivenza umana, oltre che per la salvaguardia ambientale, che dal tavolo di Doha emergano impegni vincolanti per gli Stati con delle scadenze ben precise sull’adozione di tutte le misure e gli strumenti necessari alla riduzione delle emissioni inquinanti. Più precisamente, tra i temi esaminati nel vertice di Doha ci sono: il secondo periodo di impegni del Protocollo di Kyoto, per i Paesi industrializzati,, trasformando le indicazioni dei Governi in veri e propri target di riduzione. Un impegno a cui non possono sottrarsi i Paesi in Via di Sviluppo, considerando però che ciò avvenga attraverso una distribuzione equa degli sforzi tra Paesi sviluppati, responsabili per primi della concentrazione attuale dei gas serra in atmosfera e quindi riscaldamento globale, e Paesi in Via di Sviluppo che devono coniugare il diritto al benessere e allo sviluppo con la necessità di limitare e ridurre i gas serra e l’aumento medio della temperatura globale.

Altro scoglio è quello della finanza, laddove è necessario arrivare a nuove fonti di risorse, soprattutto per venire incontro ai paesi più vulnerabili e meno sviluppati. E altre risorse finanziarie saranno necessarie per limitare la deforestazione, causa di una grossa fetta di emissioni e distruttiva dei bacini essenziali per assorbire carbonio.

 

Roma, 27 novembre 2012


Gli Uffici Stampa

WWF Italia, Tel.: 06 84497 265/213; 02 83133233
Greenpeace, tel. 06 68136061
Legambiente, 06.86268376 - 53
LIPU, tel.: 0521.1910706  


giovedì 21 giugno 2012

RACCOLTA DI UN MILIONE DI FIRME PER L'ACQUA BENE COMUNE IN EUROPA

Fra qualche giorno (superati gli ultimi ostacoli tecnici) si potranno raccogliere anche on-line le firme per chiedere alla Commissione Europea una politica che riconosca l'acqua come diritto universale e bene comune.
La società civile europea comincia a sperimentare il nuovo strumento democratico, chiamato Iniziativa dei Cittadini Europei, che prevede la possibilità con un milione di firme (proporzionalmente distribuite fra paesi membri) di sottoporre questioni di rilievo alla Commissione Europea.

 Il dispositivo non ha, a differenza degli strumenti che abbiamo a disposizione in Italia, lo stesso potere impositivo o propositivo, ma è comunque un modo assai efficace per portare questioni importanti nell'agenda europea, per sensibilizzare, e per rafforzare la capacità di rete e di protagonismo dell'associazionismo, dei sindacati, dei movimenti -essenziale per provare a salvare il nostro continente e la sua unità, messa a dura prova dalle risposte governative alla crisi.


Qui sotto trovate il modulo per la raccolta cartacea eil testo completo della iniziativa.

Tutte le informazioni, anche in italiano, si possono trovare sul sito dedicato www.right2water.eu

Continueremo a mandare aggiornamenti sulla campagna, e sul sito è possibile anche registrarsi per ricevere regolarmente informazioni, cosa che consigliamo ai comitati che intendono attivarsi.

Alla raccolta abbiamo aderito in quanto componenti del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, che è stato iniziatore della campagna europea. Come potete vedere dal sito, l'elenco degli altri promotori ed aderenti è vasto ed autorevole. In prima fila c'è la Federazione Sindacale Europea dei Servizi Pubblici, e questo può garantire naturalmente il successo della iniziativa.

Raffaella Bolini

NOTA ESPLICATIVA
MODULO RACCOLTA FIRME





mercoledì 20 giugno 2012

“PREMIO IMPATTO ZERO”

ANNUNCIATI I PREMI DEL CONCORSO
C’É TEMPO FINO AL 30 GIUGNO PER LE CANDIDATURE

Svelati oggi, Giornata Mondiale dell’Ambiente, i premi di “Premio Impatto Zero”, il concorso regionale promosso da Arci, Comune di Padova e AcegasAps per promuovere la cultura della sostenibilità, l’attenzione all’ambiente e le scelte di vita ecosostenibili.


Chiusura della candidature fissata per il 30 giugno. Partecipazione gratuita.

L'ARCI APPOGGIA LA LOTTA CONTRO L'AMPLIAMENTO DELLA CENTRALE DI VADO LIGURE


Quella della centrale a carbone di Vado Ligure è una storia che lascia davvero perplessi! L'Arci appoggia la lotta contro l'ampliamento della centrale che sta avvelenando un'intera regione.

Per approfondire la storia della centrale scarica

giovedì 14 giugno 2012

SULL'ACQUA..ABBIAMO ANCORA DA FARE!!

A maggio è partita nella regione Lazio la raccolta firme per il referendum propositivo sulla gestione pubblica dell'acqua.
Nonostante infatti la vittoria rerefendaria del 12 e 13 giugno 2011...pare che l'acqua non sia ancora al sicuro dalla speculazione dei privati.Per questo si è resa necessaria la stesura di una proposta di legge popolare.
La proposta di legge dovrà essere firmata da 50.000 cittadini e, se entro un anno dalla sua consegna non sarà discussa, il Presidente della Regione Lazio sarà tenuto ad indire il voto referendario, in cui cittadine ed i cittadini saranno chiamati ad esprimersi su questa proposta di legge.

giovedì 3 maggio 2012

venerdì 17 febbraio 2012

ARCI aderisce alla Manifestazione popolare No Tav Bussoleno-Susa del 25 febbraio 2012

L’ARCI conferma il suo impegno a fianco della popolazione e dei sindaci della Val di Susa nell'opposizione al progetto Tav Torino-Lione.
Chi sperava che il cambio al governo del Paese portasse un clima più disteso anche in Val di Susa per ora è rimasto deluso. Prosegue la militarizzazione della Maddalena di Chiomonte, e sono arrivati anche i primi arresti, condotti in un'operazione che ha avuto un'eco mediatica degna delle retate antimafia o antiterrorismo. Pur evitando ogni prematuro giudizio sul merito dei reati ascritti agli imputati, lasciano non poche perplessità l'emissione di misure cautelari nei confronti di decine di partecipanti al presidio ed alla manifestazione del 3 luglio scorso a Chiomonte, per fatti avvenuti dunque sette mesi fa.
Riguardo all'area militarizzata della Maddalena siamo di fronte ad una situazione grottesca: qualunque cosa si pensi sulle effettive necessità presenti e future di potenziamento ferroviario fra l'ingresso a Torino da Milano fino alla Francia, è irrazionale che si parta scavando un tunnel di servizio a Chiomonte in Val di Susa, funzionale come supporto collaterale di un secondo tunnel ferroviario sotto le Alpi, quando tutti gli studi prevedono eventualmente – come è intuitivo pensare – prima una saturazione della linea di pianura sul territorio nazionale, piuttosto che una improbabile saturazione dei valichi internazionali.
Saremo “ancora in cammino”, come a Genova nel 2001 e a Venaus nel 2005, per difendere l'ambiente, i diritti e la democrazia.

Saremo in cammino:
contro la logica delle grandi opere;
- per le lotte in difesa dei beni comuni;
- perché riteniamo gli arresti e le misure cautelari contro i no tav sproporzionati rispetto alle accuse;
- per chiedere la fine della militarizzazione della Valle e del “cantiere” della Maddalena di Chiomonte, del quale – come ha dichiarato l'onorevole Sonia Alfano – "la delegazione di deputati del Parlamento Europeo ha certificato l’inesistenza" durante la visita del 10 febbraio.

Sabato 25 saremo ancora una volta accanto al popolo della Val di Susa, in movimento, pacifico e determinato per difendere in modo nonviolento i beni comuni, la nostra terra e il futuro di tutte e tutti.
Giancarlo Pizzardi - presidente regionale ARCI Piemonte
Gabiele Moroni - presidente territoriale ARCI Valle Susa


Note logistiche:

- Chiediamo a circoli e comitati arci che intendono partecipare alla manifestazione di inviare una email a vallesusa@arci.it o a piemonte@arci.it indicando un proprio referente che parteciperà alla manifestazione (specificando email e cell.).
- L'appuntamento è per le ore 12.30 nella piazza della stazione di Bussoleno, dove troverete il furgone dell'ARCI.
- Per raggiungere Bussoleno è consigliabile l'uso del treno (partenze da Torino P.N. 10.20; 10.45; 11.20; 11.45; 12.20. partenze dal Collegno FS 10.30; 11.00; 11.30; 12.00; 12.30).
- Da Susa sono previste delle navette per tornare a Bussoleno al termine della manifestazione (il percorso è di 8,5 km circa).
- Contatti utili: Gabriele Moroni 348.2501585; Beppe Melchionna 347.4930300; Ivo Ghignoli 346.1560670.

lunedì 6 febbraio 2012

CAMPAGNA DI ‘OBBEDIENZA CIVILE: IL MIO VOTO VA RISPETTATO’

Nel prossimo fine settimana, con mobilitazioni diffuse e azioni comunicative, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua lancerà ufficialmente in tutto il Paese la campagna di ‘obbedienza civile’.


La campagna nasce dalla volontà di reagire alla disobbedienza, da parte delle istituzioni e dei gestori, di quanto imposto dal risultato referendario.

Il governo ha provato a riproporre la liberalizzazione del servizio idrico nel Decreto anticrisi nei giorni scorsi, ed e' stato fermato solo grazie a una immediata e forte mobilitazione. 

I gestori non stanno applicando la riduzione delle tariffe, nonostante la Corte Costituzionale abbia sancito che la eliminazione dalle bollette della quota di remunerazione del capitale investito dovesse essere immediatamente attuata.

La campagna di ‘obbedienza civile’ e' finalizzata a organizzare cittadini e soggetti collettivi ad applicare la riduzione delle proprie bollette, seguendo il dettato della Corte Costituzionale, facendo ricorso presso il proprio gestore.

Attraverso questo strumento, il Forum dell’Acqua confida di realizzare una campagna di alto impatto simbolico, capace di smuovere le acque del mondo politico e istituzionale per il rispetto del risultato referendario.

Non si tratta dunque di una campagna di obiezione ma di un ricorso, strumento legale e previsto dalla normativa. In teoria, fino a chiusura del contenzioso, non dovrebbero poter essere previste denunce per morosità ne' distacchi.

La campagna e' organizzata in modo che i comitati locali forniscano informazioni ai cittadini, raccolgano le adesioni, forniscano supporto legale, e diano impatto collettivo ai ricorsi -che comunque vanno fatti in modo individuale.

Si tratta comunque di una campagna impegnativa, che deve anche assumere caratteristiche diverse da luogo a luogo a seconda della situazione, e che implica una forte responsabilizzazione da parte di chi aderisce.

La Presidenza Nazionale dell’Arci, riunita nei giorni scorsi, confermando l’adesione alla campagna per il suo valore soprattutto simbolico, chiede ai comitati e ai circoli di discutere le forme della propria partecipazione che possono essere diversificate. I comitati e i circoli possono distribuire nei propri circoli il materiale informativo, in modo che i soci siano informati della campagna e, se interessati, rivolgersi ai punti di raccolta organizzati dai comitati locali del Forum Acqua; ospitare nel proprio circolo un punto di raccolta delle adesioni alla campagna; gestire in proprio un punto di raccolta, e partecipare attivamente alla raccolta delle adesioni nella propria comunità; aderire alla campagna con il proprio circolo, facendo ricorso.

Poiché la campagna chiede a cittadini singoli e a soggetti collettivi un gesto impegnativo, è necessario che tutti siano molto ben informati, in modo da fare le proprie scelte in modo consapevole.

Come già alcuni comitati stanno facendo, può essere utile organizzare incontri informativi e di discussione sulla campagna che coinvolgano i nostri circoli. Il Forum dell’ Acqua e' a disposizione per inviare a questo incontri esperti in materia.

Riflessioni attorno alla nevicata

Di Gennaro Di Cello

Ho visto, e sperimentato di persona, cosa può produrre una, tutto sommato banale, nevicata, in un tutto sommato ancora (per poco), paese industriale “avanzato”. Al di là dei soliti lai dei mass media, che lasciano il tempo che trovano, mi sono trovato a riflettere, in un treno ad alta velocità fermo in mezzo alla neve, sulla fragilità delle nostre società. Riflessione stimolata da un articolo sul Fatto, di quel giorno, a firma Massimo Fini, che a sua volta rifletteva su un elemento correlato: la perdita progressiva della nostra manualità umana.

Non siamo più capaci di fare niente con le nostre mani. Non siamo più capaci di praticare l’agricoltura. Il pollice è diventato dominante, quanto a trepestare sui tasti del cellulare, ma la mano non riceve più dal cervello ordini sensati che non siano quelli di usare coltello e forchetta.
Ho pensato che le nostre società sono diventate così complesse e costose, che se dovessimo essere costretti, da qualche imprevisto, a rinunciare collettivamente all’energia elettrica per più di tre giorni le nostre società cadrebbero nel panico e i morti si conterebbero non più a decine ma a centinaia di migliaia.

Complesse e costose. Abbiamo scelto l’alta velocità (lasciamo pure perdere la Val di Susa, dove la scelta è talmente insensata che non varrebbe nemmeno più la pena di parlarne se non fosse che il governo ha militarizzato, per farla, trenta comuni) senza nemmeno renderci conto che, più veloci andiamo, più quelle stesse macchine (e tutto il complicatissimo e costoso meccanismo che le fa muovere) diventano fragili come il vetro. Treni e scambi e rotaie, che potrebbero benissimo funzionare in condizioni di velocità tradizionali, diventano improvvisamente inabili a fronteggiare situazioni di emergenza, con il risultato che, invece di andare più veloci, restiamo fermi.

Il tutto di fronte alla prospettiva, serissima, che proprio ciò aumenta la probabilità di accadere nell’arco breve delle nostre vite. La crisi energetica, che facciamo tutti finta di non vedere, è appena dietro l’angolo. Le implicazioni che comporterà – sottolineo: nell’arco della vita nostra e dei nostri figli – saranno gigantesche.

Ma noi continuiamo a andare avanti, come dei dementi senza destino, a costruire complessità, facendo terra bruciata dietro le nostre spalle. Cioè facendo terra bruciata davanti al futuro dei nostri figli. Quando parli di “decrescita” sorgono rabbiose le urla degli sviluppisti a tutti i costi. E il governo dei tecnici, che ci sgoverna come il precedente governo dei puttanieri e dei ladri, ci promette ancora “crescita”.

Prima ancora di dire a Mario Monti che è un bugiardo, perché promette una crescita che non ci sarà, gli darei dell’irresponsabile. Gli direi: caro Monti, lei ci sta minacciando, con la sua crescita. Non la vogliamo la sua crescita. Vorremmo re-imparare a fare crescere i pomodori e le patate, perché sta venendo il tempo in cui non le troveremo più nel negozio sotto casa.


domenica 5 febbraio 2012

Servono politiche efficaci di protezione ecologica del mare

di Stefano Carmassi

In queste ore continuiamo ad assistere increduli al lento naufragio della nave da crociera Concordia in prossimità del porto dell’Isola del Giglio sita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dove alle vittime già identificate si sommano una ventiquattro di dispersi. Una vicenda terribile che ci porta a fare molteplici riflessioni sui trasporti marittimi attraverso le zone marine protette, e ci richiama all’altro caso avvenuto il 17 dicembre nel tratto di mare fra Livorno e l’Isola di Gorgona dove una nave cargo perdeva circa 200 fusti di monossido di cobalto e molibdeno. Due episodi a distanza di pochi giorni che ci narrano di imperizie, superficialità e fors’anche dolo e pone interrogativi urgenti su come si può condurre una nave come la Concordia come fosse un giocattolo, o sull’allegra navigazione con mare forza 9/10 del cargo Venezia seminando fusti di sostanze altamente pericolose all’interno del Santuario dei Cetacei, area marina protetta, dall’ecosistema tanto fascinoso quanto delicato e fragile. Il Santuario dei Cetacei, che si dipana fra Francia, Italia, Corsica e Sardegna, si configura come uno dei luoghi più suggestivi del Mediterraneo dove gli avvistamenti di balenottere e delfini sono molto frequenti nei circa 25.000 chilometri quadrati e che rappresentano un patrimonio di biodiversità formidabile. L’Italia a questo punto deve accelerare sulle politiche di protezione ecologica del mare, facendo accordi più stringenti con i paesi vicini e assumendo un ruolo guida nel Mediterraneo in materia di conservazione dell’ambiente marino. Dovrà anche dotare di norme attuative tutte quelle aree protette che ancora aspettano una regolamentazione definitiva.

È nota la scarsa capacità del Mediterraneo a rigenerarsi causa la poca apertura delle vie d’acqua, e il delicato equilibrio fra le economie delle comunità locali e le acque circostanti; equilibrio messo a dura prova non solo dagli incidenti navali ma anche e soprattutto dagli sversamenti quotidiani degli scarichi fognari, industriali e agricoli che immettono sostanze non biodegradabili e tensio-attive. La quantità di sostanze da rifiuti industriali come cadmio, piombo e arsenico, gli idrocarburi sversati durante i lavaggi delle cisterne delle petroliere, i fertilizzanti chimici e i liquami di origine animale  che arrivano al mare attraverso le vie d’acqua hanno raggiunto ormai livelli insostenibili. Tutto questo ridisegna in peggio il paesaggio marino, uno degli ultimi beni comuni rimasti dopo lo scippo del paesaggio costiero ad opera di cementificatori e speculatori di ogni risma e patria. In questa situazione diviene urgente una messa in rete più forte delle associazioni che hanno nelle loro finalità la difesa dell’ambiente, del paesaggio e degli ambienti marini e costieri. L’Arci e le sue basi associative dispiegate lungo tutta la costa italiana possono assumere un ruolo importante nella promozione della tutela ambientale e marina, nell’elaborazione di esempi di micro-economie locali legate al mare, nel raccogliere e dare voce alle innumerevoli vertenze che quotidianamente si presentano, e nella costruzione di nuovi orizzonti di senso.

Info: viareggio@arci.it

venerdì 3 febbraio 2012

Nessun cambiamento è possibile senza ricominciare a pensare all’ecosistema, al territorio, al paesaggio

di Raffaella Bolini

Siamo un paese conficcato nel Mediterraneo. Abbiamo 7500 chilometri di costa: una grande parte del nostro territorio non è fatto di terra. Dal mare è venuta gran parte della nostra storia, e potrebbe essere scritto un pezzo importante del nostro futuro. E invece andiamo avanti a consentire, senza troppe preoccupazioni, che il nostro mare diventi sempre più un gigantesco cimitero di biodiversità. Ci muoiono a migliaia i migranti, perchè abbiamo trasfromato in muro ciò che dovrebbe essere comunicazione, scambio, cooperazione, società, economia e cultura ricca e condivisa. Ci muoiono a miliardi di miliardi i viventi non umani, animali e vegetali - avvelenati, razziati, devastati dalla ricerca del profitto ad ogni costo, dall'incultura e dall'ignoranza, dai traffici dei poteri criminali, dalla speculazione. Inquinamento, rifiuti, discariche, pesca, edilizia e turismo dissennati: merce anche il mare, da sfruttare e consumare fino a consunzione. E se muoiono le coste, se l'acqua è inquinata, cosa importa? C'è sempre un altro modo per guadagnare. Il mare diventa una autostrada, un parco giochi, una vetrina per sfoggio di ricchezza. Chi ama il mare lo sa: una nazione che potrebbe campare solo di turismo e di natura, ammirata invidiata sognata in tutto il mondo, da anni scientificamente uccide il piccolo diporto, la nautica popolare, il turismo dolce e leggero -quello che crea lavoro diffuso, economia locale, cultura del paesaggio e della bellezza, mentre difende e costruisce identità e cultura.


Rimane da un lato il turismo massificato e intruppato dei villaggi turistici e delle mega navi da crociera, con le piscine e gli animatori a farci tutti allegri e tutti uguali, e dall'altro il lusso delle marine per mega-yacht e i posti barca che costano più di un appartamento. L'immagine della Costa Concordia sdraiata davanti al faro rosso dell'Isola del Giglio, dentro al più grande parco marino d'Europa, nel Santuario Pelagos dove ancora si trova la foca monaca, è un simbolo di quello che siamo diventati. E anche una indicazione forte per tutti, anche per noi.


La crisi ci impone di cambiare, ma se pensiamo di trovare una via di uscita senza ricominciare a pensare all'ecosistema, al territorio, al paesaggio - e dunque anche al mare - come a una priorità politica, economica e culturale rimarremo arenati. Non è un tema per gli addetti ai lavori, non è un tema per gli appassionati. Non è questione da delegare agli ambientalisti, o agli operatori. Fa parte del disegno necessario di un altra società, di un modo diverso di produrre e di consumare, di vivere. Per coincidenza, proprio il giorno del disastro della Concordia, il Consiglio Nazionale dell'Arci ha approvato la realizzazione, nel suo programma per il 2012, di un corso di formazione per formatori Arci di buone pratiche ecologiche che si terrà all'inizio di giugno. Il gruppo di lavoro ‘ambiente, beni comuni e stili di vita’ aveva già deciso di tenere il corso su un’isola italiana, in modo da iniziare anche dentro l'Arci un discorso sul mare e sulle pratiche associative che alla difesa del mare potremmo, in tanti nostri territori, pensare e promuovere.


A fine febbraio, a seconda dei soggetti pubblici e privati che ci aiuteranno a sostenerlo, identificheremo la sede del seminario e inizieremo a prepararne il programma e la partecipazione. Tre saranno gli ambiti di lavoro su cui lavoreremo, per saper meglio trasformare i contenuti di una società sostenibile in pratiche concrete per i circoli dell'Arci, per i soci, per i cittadini: acqua cibo ed energia, viaggio turismo e cultura, e naturalmente il mare.


Confidando che ciò ci aiuti a saper meglio riconquistare spazio pubblico, difendere beni comuni e affermare democrazia.

mercoledì 1 febbraio 2012

"Le idee necessitano di soggetti che ne siano portatori e che abbiano o conquistino forza politica."

di Raffaella Bolini

Con una frase, semplice e forte come le cose vere, Candido Gryzbowski di Ibase riassume il grande lavoro che, ancora una volta, la società civile brasiliana mette a disposizione di tutti, in un momento tanto complicato, organizzando la Cupola dos povos, il summit dei popoli, a Rio de Janeiro.


La Cupola, che si terra' dal 15 al 23 giugno in occasione della Conferenza Onu Rio+20 sullo sviluppo sostenibile, ha un obiettivo preciso: fare emergere una nuova alleanza globale fra chi condivide l'esigenza di un cambio di sistema.


Giustizia ambientale, sociale, ecologica. Un nuovo modo di produrre, di vivere e lavorare. No alla mercificazione della natura e dei beni comuni. Basta con la politica consegnata al capitalismo liberista e finanziario, generatore di instabilità e diseguaglianze.  Per una democrazia rinnovata. Con una visione lunga di futuro e un progetto concreto di transizione per uscire dalla crisi globale con una nuova economia e una nuova società.


Intorno a questi obiettivi lavorano insieme per costruire il Summit gli ambientalisti, i sindacati, gli altermondialisti, i movimenti educativi e dei diritti, gli indigeni, con un equilibrio complicato ma a cui tutti tengono molto.


Nessuno coltiva l'illusione che la Conferenza Onu ufficiale riesca a produrre le risposte di cui il mondo avrebbe bisogno. Solo due mesi fa, la Conferenza sul Cambio Climatico di Durban si e' conclusa con un risultato al di sotto del minimo.


La prima bozza del documento che chiudera' la Conferenza ufficiale e' stata massacrata la settimana scorsa a Porto Alegre, nel Forum Tematico verso Rio. Nella bozza, ad esempio, non si nomina mai la diseguaglianza.


Leonardo Boff lo dice chiaramente: "la nostra missione e' reinventare un paradigma nuovo. Oggi l'unico progetto razionale fa i conti con la finitezza delle risorse, con i rischi che corrono l'umanita e la biodiversità e con il bisogno di giustizia. Ma di questo nella bozza dei governi non c'e nulla."


Qui nessuno concede giustificazione alcuna alla falsa "economia verde" che distrugge le foreste in dimensioni bibliche per produrre agrocarburanti, e consegna le terre agricole alle multinazionali: sono in troppi quelli che verranno a Rio, fra imprese e governi, a ripulirsi l'immagine ma non la sostanza.


Di ben altro ci sarebbe bisogno, dice Marina Silva, leader molto amata uscita dal PT su posizioni ambientaliste "affrontare un problema di tanta magnitudine, richiede un impegno altrettanto grande. Dobbiamo essere capaci di una operazione di de-costruzione, di discontinuità  produttiva e creativa. E anche di disadattamento creativo, rispetto a tutte le cose che abbiamo appreso lungo tutta la nostra vita. Ci hanno detto che il sogno era avere la macchina, ora dobbiamo imparare a sognare un buon trasporto pubblico".


I cambiamenti storici avvengono grazie all'avanzamento culturale e al mutamento dei rapporti di forza. Anche quando la politica non e' capace di produrli, la cittadinanza organizzata può  fare molto, aiutando la costruzione di un nuovo immaginario e offrendo un punto di riferimento ai tanti che sentono l'esigenza di un cambiamento. Spesso la storia ha camminato sulla gambe dei movimenti di cittadinanza.


E per questo da un anno la società civile brasiliana, i movimenti sociali, i sindacati lavorano per il summit dei popoli di Rio. Non sono teneri con il loro governo su molte cose, ma per il loro lavoro autonomo ricevono riconoscimenti importanti: la presidente Dilma Roussef ha incontrato a lungo il comitato promotore brasiliano e i componenti del Consiglio Internazionale del Fsm, in una poco retorica discussione sul ruolo del Brasile.


La presidente difende la sua politica che, dice con forza, disobbedisce ogni giorno ai diktat neoliberisti, basata come e' su un fortissimo intervento pubblico per combattere la disuguaglianza e per fornire servizi pubblici di qualità . Afferma che in Europa la crisi e' stata costruita per distruggere i diritti sociali: e' una situazione terribile, perché e' peggio perdere diritti che non averne mai avuti.


Il cambio degli equilibri mondiali qui in Brasile si vede ad ogni angolo di strada ed e' potente. E qui salta anche agli occhi con tristezza, confrontandosi la qualità del dibattito, quanto sia profonda a tutti i livelli la nostra decadenza politica, culturale, perfino morale.


Anche per questo, una nuova fase di relazione con questa societa' e questa società civile ci farebbe bene: non risolveremo la nostra crisi chiudendo la porta alla curiosità, alla ricerca e alla contaminazione.


Rio+20, a fine giugno, puo' essere una davvero una occasione.


I promotori del Summit chiedono a tutte le organizzazioni sociali del mondo la partecipazione attiva al loro progetto. Prevedono una partecipazione di centinaia di migliaia di persone, l'arrivo di delegazioni da tutti i paesi per scambiare idee e buone pratiche, manifestare insieme. In molti paesi del mondo esistono gia' coalizioni unitarie.


In Italia il lavoro di preparazione a Rio+20 e' gia' partito. Ha iniziato il Ministro dell'Ambiente Clini che, con un bel gesto di discontinuità  ha convocato un Forum della Società Civile per discutere la partecipazione italiana.


La CGIL ha poi promosso un tavolo unitario, prova dell'investimento che i sindacati di tutto il mondo fanno sull'evento: e' già prevista la presenza di Susanna Camusso alla Cupola dei Popoli. Diverse altre riunioni si terranno nei prossimi giorni.

Speriamo che anche noi riusciamo ad essere della partita: in questo cammino non c'e niente di esotico. C'e' invece la ricerca necessaria della forza che serve, come dice Candido, a far camminare le nostre idee, in una fase da cui altrimenti usciremo con i nostri diritti tornati indietro di cinquanta anni e un pianeta ammazzato.